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Pecora alla callara: un viaggio nei sapori della tradizione

Pecora alla callara in ciotola bianca su tovaglia, piatto tipico abruzzese

Un capolavoro della cucina pastorale

Ci sono piatti che vanno oltre il semplice gusto: raccontano storie, evocano immagini, scaldano il cuore. La pecora alla callara è uno di questi. Tipica delle aree montane italiane, è un piatto rustico e profondo, nato da esigenze semplici e diventato un simbolo di convivialità. Perfetto per chi cerca sapori autentici e un vero comfort food. Preparata con carne di pecora cotta a lungo in un grande paiolo – la famosa callara – insieme ad aromi e spezie, questa pietanza è un omaggio alla cucina pastorale e alle sue radici contadine. In questo articolo ti porteremo alla scoperta delle origini, dei segreti di preparazione e degli abbinamenti ideali per gustarla al meglio.

Le origini della pecora alla callara tra transumanza, ritualità e sapienza contadina

La pecora alla callara affonda le sue radici nelle tradizioni pastorali delle regioni appenniniche, con un legame profondo al territorio abruzzese. Questo piatto nasce come esigenza pratica: valorizzare la carne ovina adulta, meno tenera ma ricca di gusto, rendendola appetibile grazie a lunghe cotture e all’uso sapiente di erbe aromatiche. Un tempo, la carne veniva cucinata in una callara, un grande calderone sospeso sopra il fuoco vivo, attorno al quale si riunivano pastori, famiglie e amici. Non era solo un modo per nutrirsi: era un rito collettivo, spesso legato a feste religiose, transumanze, raccolti o celebrazioni di paese.

Il piatto si prestava alla condivisione, perché il tempo di cottura – che poteva durare anche sei o sette ore – permetteva ai partecipanti di socializzare, raccontarsi storie e celebrare la vita comunitaria. Ogni famiglia o borgo aveva la propria variante: chi usava rosmarino fresco, chi preferiva aggiungere pomodori secchi, chi inseriva spezie locali come il ginepro. Il tratto comune restava la pazienza: solo il fuoco lento poteva trasformare quella carne fibrosa in un boccone tenero e succulento.

In alcune località, la pecora alla callara era anche un pasto rituale durante la tosatura o il ritorno della transumanza. Era simbolo di abbondanza, di ospitalità, di festa. Spesso preparata in grandi quantità e servita con fette di pane casereccio, rappresentava una vera e propria celebrazione dell’identità territoriale.

Oggi, grazie alla riscoperta dei piatti della tradizione, la pecora alla callara è tornata ad essere proposta nelle sagre paesane, nei ristoranti tipici e negli agriturismi di montagna, dove viene preparata nel rispetto della ricetta originale. Le versioni contemporanee mantengono intatti i principi base, ma possono essere arricchite con accorgimenti moderni, pur restando fedeli allo spirito conviviale e alla rusticità autentica che hanno reso questo piatto immortale. Chi assaggia la pecora alla callara non degusta solo carne: vive un’esperienza sensoriale, fatta di memoria, appartenenza e tradizione.

La preparazione tradizionale: ingredienti, cottura lenta e profumi di montagna

Preparare la pecora alla callara secondo la tradizione richiede tempo, attenzione e una scelta accurata degli ingredienti. Non è un piatto da improvvisare: è una ricetta che premia la dedizione e la pazienza, valori ormai rari nella cucina quotidiana. Si comincia con la scelta della carne: i tagli migliori sono spalla, coscia e collo, perché sono ricchi di tessuti connettivi che, con la lunga cottura, si sciolgono donando morbidezza e sapore intenso.

Il primo passaggio consiste nel rosolare la carne a pezzi grossi in abbondante olio extravergine d’oliva, fino a doratura uniforme. Questo step serve a sigillare i succhi e iniziare la caramellizzazione delle superfici, fondamentale per ottenere un fondo ricco. Si aggiunge poi un soffritto classico di cipolla bianca, sedano e carota, tagliati finemente e lasciati appassire dolcemente. È il momento delle erbe aromatiche: rosmarino, alloro, salvia e timo sono indispensabili, ma ogni cuoco può aggiungere il suo tocco personale.

A questo punto, per arricchire i profumi e dare profondità al sapore, si sfuma con un vino rosso robusto, preferibilmente locale. Montepulciano d’Abruzzo o un rosso corposo delle colline interne sono perfetti. Una volta evaporata la parte alcolica, si copre la carne con brodo di carne o acqua calda e si lascia sobbollire a fuoco dolcissimo per almeno 4 ore. Alcune versioni arrivano fino a 6 o 7 ore. La cottura lenta è il cuore della ricetta: permette alla carne di ammorbidirsi completamente, assorbendo tutti gli aromi e sviluppando un sugo denso e profumato.

Durante la cottura, è consigliabile mescolare ogni tanto, verificare il livello del liquido e aggiungere brodo se necessario. Alla fine, il piatto va lasciato riposare qualche minuto, coperto, per amalgamare i sapori. Il risultato è una pietanza intensa, corposa, che si presta ad essere gustata con pane rustico, polenta fumante o anche con patate lesse.

Per chi desidera un tocco in più, può aggiungere negli ultimi minuti di cottura un cucchiaio di concentrato di pomodoro oppure olive nere spaccatelle, che danno una leggera nota amarognola. In ogni caso, la parola d’ordine resta una: autenticità. È questa la chiave per ottenere una pecora alla callara che conquisti chiunque ami la cucina di una volta.

Uova, polenta e contorni rustici: come servire al meglio la pecora alla callara

Una volta cotta, la pecora alla callara è già un piatto completo. Tuttavia, esistono abbinamenti ideali che possono esaltarne ulteriormente il sapore e arricchire l’esperienza gastronomica. In primo luogo, la polenta è un classico intramontabile: preparata con farina di mais bramata e servita fumante, diventa il letto perfetto per accogliere la carne e raccogliere il sugo denso e aromatico. Anche un purè di patate fatto in casa, morbido e leggermente speziato con noce moscata, si abbina perfettamente, creando un contrasto tra la dolcezza del contorno e il carattere deciso della carne.

Un abbinamento più originale, ma sorprendentemente efficace, è quello con le uova. Una frittata alle erbe spontanee – magari con borragine, ortica o maggiorana – aggiunge una nota verde e fresca che bilancia la robustezza della carne. In alcune aree montane, è consuetudine servire uova sode tagliate a metà, lasciate insaporire brevemente nel sugo della callara. Il tuorlo, leggermente sciolto, si mescola al fondo di cottura creando una salsa cremosa e avvolgente.

Chi ama osare può provare le uova strapazzate alle erbe, servite su crostoni di pane abbrustolito o su una base di polenta grigliata. È un’accoppiata che unisce semplicità e raffinatezza, perfetta per un pranzo domenicale o una cena rustica tra amici. Anche le verdure grigliate, come zucchine, melanzane o peperoni, possono aggiungere leggerezza e colore al piatto.

Non va dimenticato il vino: per valorizzare la pecora alla callara, l’abbinamento ideale è con un rosso strutturato, come un Montepulciano d’Abruzzo riserva o un Aglianico del Vulture. I tannini aiutano a pulire il palato, mentre la ricchezza aromatica si sposa con le note del piatto.

Infine, per chiudere il pasto nel segno della tradizione, nulla batte una fetta di ciambellone abruzzese o qualche biscotto secco alle mandorle, accompagnati da un liquore alle erbe o da un amaro locale. La pecora alla callara, infatti, non è solo una pietanza: è una festa dei sensi, un’occasione per riscoprire il piacere della tavola e della compagnia, che si rinnova ogni volta con emozione.

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